Morosaska mia
Rivedendo il nostro passato, ci rendiamo ora conto di avere vissuto periodi di entusiasmo e di grande semplicità.
Negli anni '70, Lecco era un po' come l'università dei cori. Un concorso annuale severissimo, con tanto di esame e di graduatoria.
Era anche la ribalta per nuove canzoni. Ammessi una prima volta a partecipare a questo concorso, fummo colpiti da un
canto che ci sembrò straordinario: Joska, la canzone armonizzata dal grande De Marzi, che praticamente racconta la vita
e i dolori degli alpini durante la campagna di Russia. Non ci fu tempo per avere fra le mani lo spartito, o almeno le parole,
ma Angelo e noi tutti con lui, tornammo a casa ben decisi ad imparare anche noi quel canto. E subito, senza indugi.
Avevamo solo una registrazione e da lì cominciò l'opera di ricostruzione di parole, parti e note.
Il nastro fu fatto passare cento volte, avanti e indietro a ogni frase, con la testa quasi dentro al magnetofono, per udire meglio.
Così fu messa in piedi la canzone.
Solo un passaggio ci lasciava un po' incerti, là dove la ragazza russa che incontrava gli alpini di nascosto veniva chiamata con parole incomprensibili.
Ascoltando ancora e più volte la cassetta, fu Angelo che alla fine si sentì convinto ed esclamò: "Trovato!" "Morosaska mia!"
"Si tratta di alpini Veneti e per loro Joska è la morosa. Ma si trovavano in Russia, e quindi la morosa diventa Morosaska. Con tanto di K.
E' naturale!"
Senza altri sforzi di interpretazione o di ascolto l'ardita versione venne accettata da tutti. Morosaska mia furono le ultime due parole che andarono a completare il testo della canzone.
Tornati a Lecco l'anno dopo, ci presentammo con Joska. Il risultato fu buono ed apprezzato: corretta l'intonazione, precisi gli attacchi,
ottima la fusione delle voci. Solo una cosa lasciava perplessi i numerosi coristi veneti presenti:
"Ma cossa xe mai quella morosaska mia?"
"Da quale edision de canti sei anda a ciaparla?"
Quando candidamente spiegammo che quelle parole erano il risultato di un faticoso ascolto di un nastro scoppiarono in una risata:
"Ma no xe Morosaska mia, benedeti, che la va ciamada Joska! Xe Amor - Rosa - Spania!"
E ci fu subito un linguista che offrì la traduzione italiana:
Amor non ha bisogno di aggiunte.
Rosa è un fiore che conosciamo bene anche in Liguria.
Spania, questa sì che richiedeva una spiegazione.
I Veneti la usano per dire aperta, sbocciata. Quindi Joska era una rosa appena sbocciata, ma non una Morosaska!
Da allora anche noi cantiamo Joska con gli stessi delicati appellativi del testo originale!
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